Il museo immersivo. Una nuova frontiera per un’antica istituzione.

Museo è quella parola che evoca un luogo che racchiude reperti, dipinti e antichità. Un luogo statico e lontano, troppo lontano, dalla realtà e dalla modernità.

Eppure se proponessimo un museo innovativo, moderno e originale, ovvero senza reperti, senza nulla di concretamente esposto tra le vetrine, verrebbe davvero ben accolto dalla nostra società?

Attualmente le esposizioni virtuali e multimediali sono state promosse in Italia quasi esclusivamente come mostre temporanee o, tutt’al più, come supporto per musei fisici tradizionali: le tecnologie più promettenti hanno già dato nuovo respiro ai vecchi musei, ad esempio tramite siti web con funzioni 3D VR e AR, social media con formati innovativi (come Facebook AR studio, 360, 3d post, YouTube 360), visori di realtà virtuale, touch screen con interazioni nei video e nel 3D, ecc.

Iniziative di certo lodevoli, ma che possono essere considerate come un piccolo sguardo verso il nuovo senza minacciare il vecchio.

Eppure i nuovi strumenti sono stati ben accolti dalla società, perché non tentare di spingerci ancora più in là?

L’idea di un museo immersivo, dove non vi siano esposti oggetti e opere d’arte fisiche, ma sia tutto in mano di visori, schermi e digitale non è più così lontana. Dall’esperienza maturata dalle chiusure, effetto della pandemia, si è riscontrato un notevole interesse per virtual tour ed esperienze simili che hanno reso l’offerta culturale disponibile anche da casa propria.

E se questa vicenda divenisse l’input trainante perché nascano anche delle esposizioni fisiche permanenti esclusivamente multimediali?

Tra i primi tentativi, in Italia, possiamo citare l’M9 di Mestre, il museo del Novecento inaugurato a dicembre del 2018. Qui sono sviluppati otto temi in otto sezioni con installazioni esclusivamente multimediali: la Carraro LAB si è occupata, ad esempio, della sezione dedicata alla trasformazione dei paesaggi urbani e agrari del ‘900.

Tra le quindici installazioni interattive ideate e realizzate con riprese immersive nei territori, ricostruzioni 3D, compositing e morphing interattivi, ad esempio, vi sono: la sala introduttiva, che ricorda una control room, con proiezioni sullo shock del Novecento della megalopoli padana. Le immagini sono approfondite con un’applicazione di realtà virtuale con video 360 e 9 tablet interattivi; un’ascensore spazio temporale, che consente di osservare Mestre, la Laguna e il delta del Po dall’alto e nella loro evoluzione storica, dalle bonifiche ai bombardamenti; un’installazione di “cartoline” con foto d’epoca e video schede; il gioco Oculus per scoprire le parole chiave delle trasformazioni del secolo scorso,  dal terremoto di Messina alle demolizioni di Mussolini, dalla riforestazione alla riconversione industriale.

Tale novità non dovrebbe rimanere un esperimento unico per il nostro paese ma andrebbe riprodotto in diversi luoghi, ideando soluzioni specifiche e ideali per ciascun museo immersivo per valorizzare l’identità territoriale e la cultura del paese.

Peraltro la potenzialità di un museo di questa tipologia è data dalla facile esportabilità o pubblicizzazione anche all’estero tramite mostre temporanee, dal momento che non si tratterebbe di spostare reperti fisici ma soltanto contenuti multimediali. Ciò, di conseguenza, garantirebbe la possibilità di replicare la mostra in più luoghi contemporaneamente e raccogliere un pubblico maggiore per visitare, poi, l’eventuale museo immersivo sul nostro territorio.

Dall’opera aumentata al simulatore 3D, dagli ascensori spazio-temporali alla guida multimediale alla gamification. Siamo ormai un po’ tutti consci dei nuovi mezzi a disposizione per far sì che l’innovazione incontri la cultura, dobbiamo solo comprendere quanto questi possano davvero garantire effetti di valorizzazione, promozione e attrazione turistica non indifferenti.

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